Nucleare: «I lavoratori di Fukushima, colpevoli e vittime»
di Alissa Descotes-Toyosaki
Un lavoratore della centrale nucleare di Fukushima (Yushi Saito)
Nel "Sonic club" di Iwaki, a 50 km dal centro di Fukushima Daiichi, Yushi Saito canta con la sua chitarra. È vestito con pantaloni larghi da lavoratore ed un asciugamano nero legato intorno alla testa. Si tratta di un lavoratore della centrale distrutta, residente di Tomioka, una graziosa cittadina balneare, di cui non resta più nulla:
«La città dove sono nato è stata completamente irradiata. La casa dove ho vissuto è stata spazzata via dallo tsunami, i fiori di ciliegio, il mare dove abbiamo giocato, tutto, tutto, tutto è contaminato.»
Malattie dell'esofago e della prostata
Questa canzone intitolata "La Voix de la ville sinistrée" è stata composta nell'aprile 2011, prima che Yushi fosse riassunto a Fukushima. Una canzone che ha poi scelto di restare in silenzio per mesi, in segno di rispetto per i lavoratori:
«Ero molto arrabbiato con la Tepco e ho composto diverse canzoni per criticarli. Ma quando sono tornato alla centrale, ho visto che molti dipendenti di questa società erano anche rifugiati provenienti dalla zona di evacuazione e mi chiedevo a cosa giovasse esprimere la mia rabbia.»
Eppure i mesi sono passati e Yushi ha continuato a sentire rabbia, «non contro i lavoratori, ma contro i dirigenti della Tepco che, nei i loro uffici a Tokyo, non si preoccupano dei lavoratori che sono a Fukushima.»
Dal mese di aprile, Yushi si occupa della decontaminazione dei veicoli della centrale numero uno, nel complesso del J-Village dove, dopo la triplice catastrofe dell' 11 marzo, sono ospitati i lavoratori. Un lavoro alla giornata per uno stipendio di circa 12.000 yen (120 euro), poco più di un altro lavoro, ma con maggiori rischi. A 28 anni, Yushi presenta da un mese disturbi all'esofago ed alla prostata.
«Rivedere un giorno i ciliegi in fiore»
«Nessuno può sapere cosa accadrà fra dieci anni» dice commentando. Per questo giovane interinale di Fukushima Daiichi, l'urgenza è altrove:
«Io e la mia famiglia siamo stati evacuati in Iwaki. Ora decontamino i veicoli che escono dagli impianti. Così facendo ho l'impressione di contribuire un po' alla mia regione. Ma non lo faccio per la nazione.»
Cosa gli dà forza, Yushi ce lo dice in questa canzone che finalmente ha deciso di cantare questa sera:
«La fede in me mi dà la forza di vivere, così come la speranza di rivedere un giorno i ciliegi in fiore nella mia città.»
FOTO 2 - La città di Tomioka, situata nella zona off limits (Alissa Descotes-Toyosaki)
Dei circa 1.000 lavoratori della centrale distrutta di fukushima Daiichi, l'80% proviene dalle città e dai villaggi della terra di nessuno. Un fatto sconosciuto anche in Giappone, come ci racconta il signor Suzuki, un altro profugo del nucleare. Cinquantenne, padre di due figli, Suzuki parla sotto pseudonimo. Dipendente della Tepco da quindici anni, è nativo di Okuma, una città costiera a 3,5 km dalla centrale dove si trovano i reattori 1 e 4:
«Tra i 60 dipendenti della TEPCO che lavorano nella mia sezione, alcuni hanno già superato in cinque mesi la dose di 100 mSv [la dose annuale di radiazioni tollerata in Giappone è di 20 mSv per i civili e 250 mSv per i lavoratori degli impianti nucleari ndr]. Io sono ancora solo a 50 mSv.»
«Anche il governo centrale è colpevole»
Il signor Suzuki ha la responsabilità, dal momento dell'incidente, del rilevamento della radioattività dei lavoratori:
«I media, che non conoscono le condizioni di lavoro presso lo stabilimento, pensano che solo i liquidatori sono contaminati...»
Nella sua voce, non c'è né rabbia né amarezza. «Abbiamo causato un sacco di problemi alla nazione», dice semplicemente.
Dopo l'evacuazione con la sua famiglia nella casa dei suoi genitori a Iwaki, il signor Suzuki è tornato immediatamente a lavorare presso lo stabilimento, fabbricando cuscinetti per sei ore al giorno senza mai uscire. Da quel momento, è rimasto la maggior parte del tempo nei locali dell'impianto numero due o a J-Village «per tenersi pronto».
«Nessuno si lamenta, ma ciò che ci fa male è vedere che, dopo il disastro, tutta la responsabilità è stata riversata sulla Tepco, mentre anche il governo centrale è colpevole», dice puntando il dito contro la capitale.
«Questa la riteniamo un'ingiustizia, soprattutto perchè la prefettura di Fukushima non fa uso di energia nucleare. Noi abbiamo lavorato tutti questi anni per alimentare Tokyo e ora, quelli che erano dalla nostra parte si sono rivoltati contro di noi…»
«Se non fossimo noi a fare questo lavoro, chi lo farebbe?»
Il signor Suzuki sa che ci vogliono ancora dai venti ai trent'anni per smantellare i reattori della centrale distrutta. Reattori il cui cuore è "probabilmente" ancora in fusione.
«Devo mantenere la mia famiglia e comunque, se non fossimo noi a fare questo lavoro, chi lo farebbe? La gente pensa che i dipendenti TEPCO sono molto ricchi, ma anche questo è un mito.»
Anche domani, ancora una volta, questo padre si alzerà alle 4:30 del mattino per andare alla centrale:
«I lavoratori di Fukushima Daiichi sono allo stesso tempo colpevoli e vittime della centrale. Questo è quello che li trattiene qui.»
L'energia nucleare per un futuro radioso» Un banner a Futaba, nella zona off limits (Alissa Descotes-Toyosaki)
FONTE: Alissa Descotes-Toyosaki - Traduzione per RNA: Angela Di Rito
DATA: Publié le 23/02/2012 à 05h28
Titolo Originale: Nucléaire: «Les travailleurs de Fukushima, agresseurs et victimes»